SEPARATI: DA CHI? PECCATORI E GIUSTI

Recandomi questa mattina da casa alla Chiesa di S. Maria della Speranza per la celebrazione eucaristica, fuori del cancello mi ferma un conoscente che mi abborda: "Sono un separato, so che hai dimostrato delle aperture verso separati e risposati per l’accostamento ai sacramenti…". E’ vero, cerco solo di ragionare sulle situazioni reali delle persone, e poi separati e risposati non sono la stessa cosa.


Riflettendo insieme con questo amico una prima considerazione mi si affaccia, cioè mi pare che si debba distinguere anche nelle situazioni riguardanti le vicende lieti o tristi di un matrimonio, tra l’aspetto morale con le sue conseguenze e responsabilità e la partecipazione ai sacramenti della chiesa, o più chiaramente il desiderio sincero di ricevere l’eucaristica.
Forse la situazione è per certi versi più chiara per i risposati, perché comunque c’è la costituzione di un’altra “famiglia” con tutte le sue responsabilità. Nello stesso tempo mi sovviene la conversazione in metropolitana con una signora spesso compagna di aspettive alla fermata del pulmann, che mi confida tra una stazione e l’altra che va a lavorare anche perché è stata abbandonata dal marito che si “è messo” poi con un'amica avendo dei figli.
E’ manifesta la sua sofferenza o rassegnazione, è una situazione che non solo lascia ferite ma qualcosa che non va, non solo è stata  lesa una norma civile o religiosa ma l’aspettativa reciproca in un patto matrimoniale. La complessità delle situazioni non può essere facilmente scartata sia per un irrigidimento escludente sia per una flessibilità ingenua accogliente.
Rimane comunque nei due casi una sofferenza per una privazione affettiva e religiosa e non si può autoritariamente proclamare un’esclusione dalla Mensa del Signore. Strategie ecclesiastiche o ecclesiali di esclusione o di inclusione?

Una signora poi alla fine della messa, condividendo una mia intenzione di preghiera nel senso di un responsabile accoglimento di separati o risposati, come tanti altri mi butta in faccia che ci sono anche altri peccati che vengono obliati per esempio quando viene data la comunione a noti personaggi al secondo o terzo matrimonio. Si dimentica che la celebrazione eucaristica tradizionalmente inizia con una riflessione volta al riconoscimento dei peccati del celebrante e dei fedeli, e di conseguenza o con la consapevolezza di essere peccatori non ancora riconciliati non ci accostiamo tutti all’eucaristia o  in coscienza ci accostiamo tutti al dono del Signore.
In fondo, pur avendo presente le norme e/o direttive della chiesa, il problema di accostarsi o meno all’eucaristia viene ricondotto al discernimento di coscienza delle diverse situazioni in cui, a mio parere, gioca molto il desiderio di ricevere l’eucaristia e non solo l’esclusione sofferta dalla comunità. Forse bisognerebbe parlarne di più con responsabilità, non solo in un counseling improvvisato o personale, ma in momenti collettivi di riflessione per accogliere non solo “i peccatori”, ma anche i “giusti” che sono invitati ad una chiarezza di coscienza.


In questo discorso non ho considerato a sufficienza l’aspetto comunitario o ecclesiale. Dio perdoni! Non ho la pretesa di possedere la verità, ma insieme di accompagnare tutti (peccatori e giusti) ad un discernimento non solo veritativo ma “compassionevole” perché alla mensa del Signore siamo tutti “peccatori e giusti”. Proseguiamo la riflessione o meglio la revisione di coscienza per un’accoglienza reciproca in nome di “Allah potente e misericordioso”. Va bene?


P.S. Ho trascurato un aspetto nel mio ragionare che disvela il cuore del problema.
L'interrogativo "separati da chi?" va problematizzato perchè l'esclusione dall'Eucarestia o da altri sacramenti non può significare l'esclusione dalla conversazione personale interiore con il Signore che è fulcro di ogni cammino di discernimento e revisione di vita. E' la via più efficace di riconciliazione, con Dio, il prossimo, se stessi e la natura. Non allontaniamo le persone da questo incontro personale. Dio ci perdoni!

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