QUANDO FINISCE LA CRISI? DALLA PARTE DEL 99%


tratta da democraziakmzero.it
E’ la domanda che mi è stata rivolta dall'amico romeno N. mentre distribuivo la calza della Befana ai suoi due figlioletti, in riferimento alla difficoltà da anni di trovare lavoro degno di questo nome specialmente in tempo di crisi. Come un ritornello questa sua preoccupazione mi ritorna in mente come domanda ed attesa diffusa al di là delle difficoltà delle stesse istituzioni europee e nazionali di fare previsioni sull’uscita dal tunnel.

Stupisce per certi versi che da pensionati, lavoratori, piccoli imprenditori appartenenti al ceto medio i cosiddetti “sacrifici” per attuare “il patto di stabilità” secondo le direttive europee siano stati subiti o accettati  senza soverchie reazioni. A parte i cortei dei lavoratori delle industrie in crisi davanti alle sedi istituzionali, dalle mie parti a Napoli quelli dei  disoccupati organizzati” per anni assistiti con corsi di formazione mascherati, e degli operatori dei servizi socio-assistenziali che con lo slogan “Il welfare non è un lusso” rivendicano pagamenti arretrati dal Comune partenopeo, per cui nell’estate scorsa perfino alcune suore si sono incatenate davanti alla sede del Municipio.

Non sembra proprio che nella politica di austerity montiana abbia trionfato l’equità e tasse e balzelli abbiano rispettato la progressività richiesta dalla Costituzione rispetto alle condizioni economiche. Nel tentativo di risanamento finanziario ingoiato dai partiti come una medicina amara, nel dibattito pubblico sull’equità o meno delle misure adottate è emersa chiaramente la ineguale distribuzione delle ricchezze nel nostro paese, in cui se non andiamo errati il 10% della popolazione possiede il 50% della ricchezza.
O come conseguenza del movimento statunitenseOccupy Wall Street del 2011-2012 - contro le sedi del potere finanziario, del capitalismo globale e le complicità di potere economico e politico - e del dibattito che ha generato su Internet e sulle testate tradizionali, “la questione della disuguaglianza sociale simbolizzata  dall’opposizione tra il 99% e l’1%  è diventata di primo piano nel discorso pubblico(M. Castells, Reti di indignazione e speranza.Movimenti sociali nell’era Internet). 

Infatti, la quota del reddito USA appartenente all’1% della popolazione, nel periodo 1976-2006,  è salita dal 9 al 23,5 %. E per il periodo 1980-2007, l’1% della popolazione si è appropriato del 58% dell’intera crescita economica del periodo. E’ importante verificare l’impatto politico sulla consapevolezza della gente di un movimento sociale o di un dibattito pubblico, anche se derive populiste e particolaristiche nel nostro paese trovano seguito per l’abilità comunicativa e la manipolazione mediatica ma non solo di leader politici o imbonitori anche se con facce diverse.

Secondo la tesi del sociologo ispano-statunitense citato, lotta fondamentale per il potere è quella per la costruzione di significato nella mente delle persone, per plasmare la mente umana. Il potere nella prospettiva teorica di Castells è costruito nelle menti mediante processi di comunicazione, processi di condivisione di significato tramite lo scambio di informazioni. In questi ultimi anni il maggior cambiamento nel mondo della comunicazione di massa è stata la nascita di quello che questo studioso ha definito “autocomunicazione di massa”, l’uso di Internet e delle reti senza fili come piattaforme di comunicazione digitale. Grazie a reti autonome di comunicazione orizzontale, i cittadini dell’età dell’informazione sono in  grado di inventare nuovi programmi legati alla loro sofferenza, alle loro paure, ai loro sogni e alle loro speranze, e quindi veicolare nuovi valori ed obiettivi. I movimenti sociali creano contropotere autocostruendosi mediante un processo di comunicazione autonoma, libera da quanti detengono il potere istituzionale. I social network digitali offrono la possibilità, senza restrizioni, di deliberare e coordinare l’azione.

Meditate gente, non solo rabbia o indignazione, c’è speranza nell’era di Internet per la comunicazione e mobilitazione sociale. Almeno per accrescere il tasso di equità, cioè  di giustizia sociale, che non è molto di moda nel pensiero liberale e populista, trascurato se non schiacciato dall’emergenza.
Crisi appunto, di equità!

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